Sarebbe facile parlare senza le parole, cosi’ come mi parla la mia gatta dicendo tutto il necessario. Ma noi umani non siamo gatti, certo che no e dovremmo esserne grati di avere una capacita’ maggiore per capire il mondo, un’ l’altro, se stessi. Io mi sono trovata a voler essere un gatto e comunicare senza parole per avere il cuore in pace e la testa vuota, ma cio’ nonostante dire tutto quello che sento sia necessario dire.
Sono cresciuta a Rovigno, nella citta’ dove non sono nemmeno nata per una serie di coincidenze ed il corso della vita dei miei genitori, molto giovani allora e non ancora sicuri come costruirsi la vita coniugale con in arrivo una figlia. Quasi mi dimentico questo particolare di essere nata a Fiume, ma la vita ci serve quello che ci guida nel corso della vita e ci aiuta a compiere la nostra vita, e forse a raccontare la storia. Insomma Fiume, dove come trentenne, ho vissuto molti anni, e’ stata una porta verso la storia di questa zona di confine, cosi’ complessa e cosi’ fondamentale per la mia anima straziata tra culture diverse.
In che lingua devo vivere, mi chiedo e piu’ mi chiedo, meno so. Decidi, mi dico, ma non e’ cosi’ facile. Da piccola ho vissuto a Rovigno con i nonni vicino al Laco/Lokva e curiosa come sono, conoscevo tutta la via e ogni persona che ci entrava. Guardavo il Ricovero dalla finestra e mi chiedevo cosa fanno le persone anziane chiuse li’ dentro. Ogni tanto passava Libera Matta urlando qualcosa, ma a me era simpatica. La vedevo come una diversa, che si distingueva dagli altri. sempre chiusi li’ dentro. Naturalmente non potevo capire come uno ci si sente quando e’ ammalato e non riesce a camminare. Poi avevo scoperto che il Ricovero aveva un bellissimo parco dove gli anziani sembravano finalmente vivere e li guardavo. Sembravano felici, parlavano ad alta voce e ridevano. Alcuni erano seduti furi questo cerchio animato e stavano in silenzio.
Molto piu’ tardi ho scoperto che il Ricovero portava il nome di Domenico Pergolis, un personaggio degno di nota, medico e benefattore che curava i bisognosi anche gratuitamente e non avendo eredi lascio’ i risparmi appunto per costruire il Ricovero. Starački dom. A volte sentivo Starački dom, a volte Ricovero. La via era molto frequentata perche’ portava in citta’ vecchia, in Carrera e c’erano anche alcuni negozi, per noi bambini fondamentali perche’ cosi’ pochi. Trgoauto con tutti quei motorini Tomos e biciclette, c’erano anche degli altri macchinari ma non ma non mi interessavano molto. Subito dopo si trovava la fabbrica di liquore, l’odierna “Darna”. Me la ricordo anche troppo bene perche’ lo stomaco mi faceva male dall’odore dell’alcol, ma quando avevo scoperto che producevano il liquore di uova “Ovo”, cosi’ dolce e giallo, ci passavo tappandomi il naso ma con un sorriso. Un po’ piu’ giu’ c’era il mio posto preferito, la stazione delle corriere. La chiamavamo “autobusna” e gli autobus chiamavamo “kurijera”. Li’ mi facevo di quelle storie in testa su dove viaggero’ da grande. Parlavo sempre con i lavoratori e passeggeri e tutti erano simpatici. Era mio nonno che mi portava li’ a lavorare con lui. Ero felicissima con tutta quellagenete attorno. Pensavo che il mondo fosse fatto di persone benevoli e simpatiche e mi ci sono voluti molti anni prima di capire che siamo tutti diversi.
In Puljanka ci andavo sempre con la nonna e ascoltavo le signore parlare. Non mi ricordo di cosa parlavano, ma mi ricordo che mi annoiavo e guardavo fuori verso le kurijere. Mi piaceva la via Carducci. Per non dimenticare “Tropico”, non so nememno adesso chi era il proprietario, ma non vedevo l’ora di diventare grande e sedermi come gli alunni della scuola superiore che guardavo mangiare le krofne. L’episodio piu’ bello pero’ era il “tovarić” che viveva, cosi’ dicevo io, subito all’inizio della via Carrera. C’erano anche altri piu’ giu’ in Carrera ma li’ ci andavo raramente perche’ da sola non potevo e la nonna comprava tutto in Puljanka. Avrei dovuto aspettare ancora qualche anno prima di scoprire la via Carrera che mi sembrava un mondo nuovo, fatto per grandi. C’erano le vecchiette che vendevano i pomodori, quelli me li ricordo e vedevo tanta gente che parlava lingue che non capivo. La nonna non comprava mai la verdura, perche’ il nonno la portava dalla “kampanja”.
Quando tornavamo a casa, la nonna mi lasciava guardare con lei la telenovela. Penso fosse su Canale 5 o Rettequatro. Adesso che ci penso non so come mail capivo tutto se a casa ho sempre parlato croato. Anni dopo ho capito che quel croato non era il vero croato come parlano a zagabria e tanto e’ vero che nella capitale guardavano gli Istriani come venuti da un’altro mondo. A casa dei nonni si parlava istriano. Cantavo “Ne zna Tone ča Tonina ima” e solo dopo molti anni ho capito che era una canzone tipica dell’Istria e il modo di cantare a due voci, “na tanko i debelo.” Mi piaceva cantare e quando andavo dagli zii che abitavano li’ vicino e chi mi davano sempre le caramelle e le uova di pasqua che gli portavano i parenti dall’Italia, sentivo sempre sulla radio Lidia Percan e Sergio Preden-Gatto. C’erano anche altre canzoni, ma queste erano le cassette che stavano vicino al kazetofon, i vecchi nastri che ogni tanto la radio se le mangiava e si doveva arrottolare quel filo maron scuro. Solo dopo scopriro’ che i parenti dall’Italia erano nati a Rovigno e se ne sono dovuti andare.
Non parlavo l’italiano cosi’ bene ma capivo tutto, anzi, adesso che ci penso non capivo nemmeno la differenza ed e’ questa la bellezza di essere bambini, non analizzare e non pensare, essere e basta. Non ho mai voluto dimenticare l’emozione che avevo dentro da bambina, la curiosita’ e il sorriso per tutti e sono grata di poterlo ricordare di nuovo e in qualche maniera grezza esprimerloa, anche se non so in che lingua devo scrivere. Scrivendo in italiano mi sento quasi in colpa di non scrivere in croato. Quando scrivo in croato, mi dispiace che gli Italiani che non lo capiscono e sono legati a Rovigno e l’Istria non possono capire quello che scrivo. Pongo speranza nella tecnologia e i social media dove facilmente uno puo’ tradurre se vuole, ma da insegnante di lingua so anche che non e’ la stessa cosa. Insomma, e ‘ una frustrazione, ma anche una ricchezza perche’ io sono Istriana, una donne di confine e scrivero’ come mi sento perche’ la lingua e’ un sentimento.