Sarebbe piu’ facile parlare senza parole. Parlare nel modo in cui mi “parla” la mia gatta, dicendo tutto. A dire la verita’, mi ci sono voluti un paio d’anni prima di capire tutto quello che aveva da dire. Ma noi umani non siamo gatti, certo che no, e dicono che abbiamo una capacita’ maggiore per capire il mondo, per capire un’ l’altro e anche se stessi. Cosi’ almeno dovrebbe essere. Vorrei poter comunicare senza parole perche’ a volte le parole portano confusione e ci allontanano da quello che siamo veramente, da quello che veramente sentiamo.
Sono cresciuta a Rovigno, nella citta’ dove non sono nata, ma come se lo fossi, visto che ero molto piccola quando mio papa’ convinse la mamma a seguirlo nella sua citta’ natale. Il fattodi essere nata a Fiume mi ha dato uno sguardo aperto verso altre sponde, altri orizzonti e forse anche la mia passione per la storia. Questa stessa Fiume, dove ormai da adulta ho vissuto molti anni, e’ stata una porta verso la mia dedizione alla storia di queste terre di confine, una storia cosi’ complessa e cosi’ affascinante, cosi’ fondamentale per la mia anima curiosa.
Molte volte mi sono chiesta in che lingua devo vivere. Dopo molti anni trascorsi a Padova, dove appena dicevo che ero di Rovigno mi dicevano “tosa, ti ti son noostra”, non ero piu’ la stessa persona. Dicono quante lingua parli tante persone sei. E’ vero, ma non e’ facile. Non oso ancora scrivere perche’ non so che lingua scegliere.
Da piccola ho vissuto a Rovigno con i nonni vicino al Laco/Lokva e curiosa come sono, conoscevo tutta la via e ogni persona che per di la’ girava. Guardavo il Ricovero per gli anziani dalla finestra e osservavo i vecchietti, mi chiedevo a volte, cosa facessere chiuse li’ dentro. Ogni tanto passava Libera Matta urlando, ma a me era simpatica. Era diversa anche se non capivo perche’ urlava sempre. Poi avevo scoperto che il Ricovero aveva un bellissimo parco dove gli anziani sembravano felici. Li sentivo parlare e ridere. Alcuni stavano in silenzio e guardavano nel vuoto.Molto piu’ tardi ho scoperto che il Ricovero portava il nome di Domenico Pergolis, un personaggio degno di nota, medico e benefattore che curava i bisognosi anche gratuitamente e non avendo eredi lascio’ i risparmi, appunto, per costruire il Ricovero. Starački dom. A volte sentivo Starački dom, a volte Ricovero.
La via era molto frequentata perche’ portava in citta’ vecchia, in Carrera e c’erano anche le bottghe, per noi bambini fondamentali, perche’ cosi’ poche. Ogni volta passavo vicino alla”Trgoauto” e guardavo le biciclette tutte messe in fila che stavano quasi in mezzoo alla strada e i motorini. C’era sempre anche un trattore, ma a me piaceva quello vecchio di mio nonno. Subito dopo si trovava la fabbrica di liquori, l’odierna “Darna”. Me la ricordo anche troppo bene, perche’ annusavo quella puzza d’alcol che mi faceva venir mal di stomaco. Poi dalla zia ho assaggiato l'”Ovo”, il liquore di uova, cosi’ dolce che poi ci passavo vicino alla fabbrica quasi volentieri, sempre col naso tappato ma sorridendo. Un po’ piu’ giu’ c’era il mio posto preferito, la stazione delle corriere. La chiamavamo “autobusna” e gli autobus chiamavamo “kurijera”. Li’ mi facevo di quelle storie in testa su dove viaggero’ da grande. Parlavo sempre con i lavoratori e passeggeri e tutti erano simpatici. Era mio nonno che mi portava li’ a lavorare con lui. Ero felicissima a guardare tutta quella genteandare e venire. Pensavo che il mondo fosse fatto di persone benevoli e simpatiche e mi ci sono voluti molti anni prima di capire che non era proprio cosi’.
Mia nonna mi portava sempre in “Puljanka”. Lei parlava sempre con tutti e le signore mi salutavano e mi davano anche qualche caramella. Non mi ricordo di cosa parlavano coosi’ tanto, ma mi ricordo che mi annoiavo e guardavo fuori verso la stazione delle kurijere. Mi piaceva la via Carducci. Per non dimenticare “Tropico” e non vedevo l’ora di diventare grande per potermi sedere come i grandi. A volte correvo fino all’inizio della Carrera a vedere un asinello, che io chiamavo “tovarić” , ma non mi ricordo il suo vero nome. Peccato. C’erano anche altri asini, piu’ giu’ in Carrera ma li’ ci andavo raramente, perche’ da sola non potevo e la nonna comprava tutto in Puljanka. Avrei dovuto aspettare ancora qualche anno prima di scoprire via Carrera che mi sembrava cosi’ lunga come se non avesse una fine. Carrera per me era u mondo che ancora non conoscevo e che mi incuriosiva. C’erano le vecchiette che vendevano i pomodori e altre verdure, ma la nonna non comprava mai la verdura, perche’ il nonno la portava dalla “kampanja”.
Quando tornavamo a casa, la nonna mi lasciava guardare con lei la telenovela su Canale 5 o Rettequatro. Adesso che ci penso, non so come mai capivo tutto, se a casa ho sempre parlato croato. Anni dopo ho capito che quel croato non era il vero croato come si parla, per esempio a Zagabria, ma un croato dell’Istria. Un croato di cui sono molto fiera. Il ciakavo. A casa dei nonni si parlava istriano ciakavo. Cantavo “Ne zna Tone ča Tonina ima”, e solo dopo molti anni ho capito che era una canzone tipica dell’Istria e il modo di cantare a due voci, “na tanko i debelo.” Mi piaceva cantare e quando andavo dagli zii, che abitavano li’ vicino e chi mi davano sempre le caramelle e le uova di pasqua, che gli portavano i parenti dall’Italia, sentivo sempre le voci di Lidia Percan e Sergio Preden-Gatto. C’erano anche altre, ma queste cassette stavano vicino al kazetofon. Me li ricordo ancore, quei vecchi nastri che ogni tanto la radio mangiava e dovevamo prendere una matita per arrottolare il filo. Solo dopo scopriro’ che i parenti dall’Italia erano nati a Rovigno e se ne sono dovuti andare.
Non parlavo l’italiano cosi’ bene ma capivo tutto, anzi, adesso che ci penso non capivo nemmeno la differenza tra diverse lingue che sentivo. E’ bello essere bambini proprio per quello, loro non analizzano, non pensano troppo, loro sono e basta. Non dimentichero’ mai l’emozione che avevo da bambina, la curiosita’ e il sorriso per tutti e sono grata di poterlo ricordare ed esprimere, anche se non so in che lingua devo scrivere. E’ una frustrazione continua, ma anche una ricchezza, perche’ io sono Istriana, una donne di confine e scrivero’ come mi sento perche’ la lingua e’ sentimento.